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Andrea Zagato

A cosa serve capire il linguaggio del corpo?

Te lo spiego raccontandoti una storia, non una qualunque ma vissuta il 2 Maggio 2024, in un ristorante a Milano.


In quel ristorante semicircolare, illuminato da luci soffuse che creavano un'atmosfera intima, mi trovavo seduto accanto a Clara, un'amica di vecchia data. Nonostante la conoscenza di anni, la presenza di lei quel giorno mi metteva in una strana posizione di disagio, come se fossi avvolto da una nebbia di imbarazzo. Clara, al contrario di me, sembrava totalmente concentrata su Marco, il ragazzo che le sedeva di fronte.


Clara era sempre stata una ragazza vivace e loquace, ma quella sera qualcosa era cambiato. La vedevo parlare poco, il suo sorriso era un'ombra fugace che appariva solo quando i suoi occhi incontravano quelli di Marco. Marco, dal canto suo, la trattava con una sorta di indifferenza cortese, sorridendo di rado, le sue espressioni erano controllate, quasi studiate.


Ogni volta che Clara tentava di avvicinarsi a lui, toccando lievemente il braccio di Marco o inclinandosi verso di lui mentre parlava, lui si ritraeva sottilmente, inclinando il corpo all'indietro e sfogliando distrattamente il menu. Questo microgesto, apparentemente insignificante, sembrava ferire Clara, che ritraeva la mano come colpita da una scossa invisibile e si ritirava nel suo guscio.


Il pasto procedeva e l'aria tra di loro diventava sempre più densa, carica di parole non dette. Clara giocava nervosamente con il tovagliolo, piegandolo e ripiegandolo in forme sempre diverse, uno sfogo tacito alla tensione che si accumulava. I suoi occhi, una volta così brillanti, quella sera erano velati da una tristezza palpabile, uno specchio delle emozioni che le agitavano il cuore.


Quando Marco parlava, il suo corpo si orientava verso gli altri al tavolo, escludendo Clara in modo quasi deliberato. Lei, a sua volta, cercava di mantenere un atteggiamento neutro, ma il suo viso tradiva momenti di tristezza profonda, soprattutto quando lui rideva o scherzava con gli altri. Il suo sorriso, che una volta era radioso e caldo, quella sera era freddo, un riflesso tiepido di ciò che provava realmente.


Nel vedere Clara così, mi sentivo impotente. Volevo aiutarla, dirle che meritava di più, che non doveva cercare approvazione in qualcuno che non la vedeva per la meravigliosa persona che era. Ma ogni tentativo di iniziare una conversazione moriva sulle mie labbra, bloccato dalla consapevolezza che forse non era il momento giusto.


Alla fine della cena, mentre uscivamo dal ristorante, osservai Clara che si avvolgeva nel suo cappotto, un gesto di protezione contro il freddo esterno e forse contro il dolore interno. Il suo cammino era lento, ogni passo sembrava pesare più del solito.


In quella serata, il linguaggio del corpo di Clara aveva raccontato una storia più eloquente di qualsiasi parola avrebbe potuto fare. E io, testimone silenzioso di quel dolore non pronunciato, mi ripromisi di trovare il modo per aiutarla, per farle capire che non era sola. Ma prima di tutto, dovevo abbattere il muro di disagio che mi separava da lei, imparando a interagire in un modo che potesse veramente raggiungerla.


Questa è la prima parte, oggi 15 Maggio le cose son cambiate, a breve scriverò il proseguo.




Quello che le parole non dicono

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